11 luglio 2006

Tham Jang


Laos, Vang Vieng, verso la Tham Jang, agosto 2005

Tham significa grotta. Vang Vieng è una cittadina lungo il fiume Nam Song, circondata da vette pittoresche e da una natura rigogliosa. I turisti sono in maggioranza ragazzi, che sfruttano le rapide acque del fiume che discendno sui pneumatici dei camion. Altra attrattiva sono le grotte, di cui sono disseminate le frastagliate montagne lungo il fiume. La più famosa e la più semplice da visitare è la Tham Jang. Per arrivarvi la passeggiata è molto piacevole, ma la particolarità è che per accedervi occorre entrare nel Vang Vieng Resort. Attraverso sentieri curati, dove passeggiano mucche e anatre, si arriva infondo alla valle, dove la parete di roccia si alza improvvisa. Una scalinata ripida porta fino all'ingresso della grotta. Ma prima di salire è impossibile non fermarsi a gustare la pace che regna lì in basso, dove scorre un ruscello dalle acque turchesi, circondato da alberi verdissimi, che gettano un'ombra davvero piacevole dopo la passeggiata al sole, che abbiamo fatto per arrivare fin lì. Intorno al ruscello i prati sono curati e un ponticello consente di attraversarlo facilmente. Una breve sosta e poi comincia la salita.

07 luglio 2006

Verrà la notte ed avrà i tuoi occhi


Camogli, giugno 2006

Quando continuerà
il tempo dove tu manchi,
senza nostalgia
di strofinare i tuoi fianchi;
quando ti fermerò
tra i due miracoli
di averti amata e perduta,
e li ti schiaccierò
e li sarai finita...

Quando di questo amore
saranno sparse le foglie,
e morirà l'orgoglio
nel mio inventario di stelle;
quando ti avrò battuta,
cacciata sulla luna,
dimenticata per sempre
e avrò cantato il giorno
che tu non sei più niente...

Verrà la notte e avrà i tuoi occhi,
verrà la notte con i tuoi occhi.

Io viaggerò l'inverno
io giocherò con il mio cane;
mi vestirò di nuovo
sentirò sete e avrò fame,
quando aprirò la stanza
dov'ero chiuso a chiave
fra le tue immagini spente
e sarò "io": quel giorno
che non sarai più niente...

Verrà la notte e avrà i tuoi occhi,
verrà la notte con i tuoi occhi

E' una canzone di Roberto Vecchioni. Non credo di averla mai sentita e non so neppure se la musica potrebbe aggiungere qualcosa ad un testo così.

06 luglio 2006

Dove vai quest'anno?


Sri Lanka, Colombo, aeroporto, agosto 2004

E’ più o meno il periodo in cui tutti chiedono agli altri dove andranno in vacanza. Io attendo il momento in cui la domanda mi viene posta dai miei genitori. Lo attendo, lo confesso, con un certo divertimento, prevedendo già che li getterò nella confusione. Lo scorso anno alla risposta “Cambogia e Laos”, mi suggerirono di cambiare itinerario per la Svezia. Mi venne da ridere. Perché proprio la Svezia? Cosa diamine c’è in Svezia da fare o da vedere? Sicuramente tante cose, ma del tutto differenti da quelle che si possono fare o vedere in Cambogia.
Quest’anno la scena si è ripetuta e la risposta è stata la stessa, ma il Paese era diverso: gli Stati Uniti, forse l’ultimo dei luoghi al mondo che mi interessa di vedere. Ho risposto d’istinto: negli Stati Uniti ci sono le stesse cose che ci sono qui, solo più grandi. Perché ci dovrei andare?
Ho riflettuto dopo sulla risposta che avevo dato e ho trovato che benché istintiva e immediata, aveva colpito un punto fondamentale per me. Qualunque paese occidentale, benché diverso dal mio, benché la gente non sia la stessa, i posti non siano uguali, nonostante tutto ripete degli schemi sociali a noi familiari. Il modo di pensare, il modo di vivere poco si discostano fra un Paese e l’altro. Questo rende tranquilli, cancella la paura del diverso, dell’ignoto. Si può viaggiare senza timore ritrovando nel paese di destinazione gli schemi familiari, facilmente riconoscibili, ai quali attenersi.
Lo stesso vale per chi viaggia “all inclusive”: è come vedere i posti attraverso il periscopio, restando al sicuro, dentro i pulman, i grand hotel, le guide che parlano la tua lingua.
Ben diversa è l’emozione di trovarsi in un posto dove tutto è diverso, i cartelli non si leggono, gli odori non sono familiari, i volti sono diversi da quelli che siamo abituati a vedere, dove il giorno di festa non è la domenica, e forse neppure il sabato, o forse non c’è proprio.
La prima volta che scesi dall’aereo in Asia, è stato a Colombo, in Sri Lanka. Mi sentii subito come se fossi una spugna, con i sensi dilatati che assorbivano tutto ciò che mi circondava. L’assalto degli autisti che si offrivano di portarci in un albergo, la gente che aspettava in una grande sala i parenti in arrivo, i mendicanti, i volti, i vestiti… Come ero felice che qualcuno mi avesse offerto l’occasione di far saltare gli schemi, di essere lì, di non aver avuto paura del “diverso”. Tornando a casa quel “diverso” me lo sono portata dentro, continuando il viaggio con la mente, ripensandolo e riordinandolo. Forse ho adesso la presunzione di aver salito un gradino che non tutti hanno il coraggio di salire e di possedere una ricchezza che non è alla portata di tutti: la consapevolezza che esiste altro al di là del mondo occidentale e che solo il rispetto del “diverso”e il desiderio di conoscere possono aprire gli occhi e, soprattutto, la mente.


Sri Lanka, Colombo, aeroporto, agosto 2004

03 luglio 2006

In barca sullo Stung Sangker


Cambogia, Stung Sangker, agosto 2005

Il viaggio in barca da Battambang a Siem Reap è di quelli che valgono un intero viaggio. Avevamo scelto di percorrere la distanza fra le due città su una barca lenta. La Lonely Planet specificava che il tempo dello spostamento sarebbe stato lungo, almeno 8 ore, ma l'imbarcazione lenta era meno invadente per le popolazioni che abitano lungo il fiume. Nel tempo impiegato durante lo spostamento fu facile capire il perchè. Dopo una prima parte del viaggio lungo le coste popolate e ancora vicini alle case, il fiume si stringeva. Le costruzioni sparivano e lasciavano il posto a semplici capanne. La vita lungo il fiume era sempre intensa: ad ogni curva il panorama cambiava e se un momento il fiume era largo e ai lati si ergevano le palme, subito dopo si stringeva e si divideva in mille canali stretti, nei quali la barca si incagliava costringendoci a fermarci fino a che qualcuno non riusciva a districare l'elica.
La barca era utilizzata sia da turisti, pochi in verità, che da gente del posto. Probabilmente era il mezzo con cui periodicamente chi abitava lungo il fiume si spostava verso le "città". Quando poi il familiare era di ritorno, erano addirittura i bambini che venivano incontro alla barca con lunghe imbarcazioni, che portavano con grande abilità, per riprenderlo. Le case erano barche, coperte da archi di foglie di palma intrecciate, con le pentole attaccate fuori. Tutta la vita era nel fiume: i pesci per mangiare, il riso, coltivato nell'acqua dietro la capanna, l'acqua per bere, per cucinare, per lavarsi, per giocare. E poi, all'improvviso, il villaggio della foto. Tante palafitte altissime, con le barche attaccate sotto. Un villaggio surreale, incredibile nella sua miseria, indimenticabile.

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