15 febbraio 2008

Tenerezza


Myanmar, Yangon, agosto 2007

Ho inserito questa foto qualche giorno fa su Flickr.com, nel mio spazio. Ha avuto un discreto numero di commenti favorevoli, ma quello che mi ha colpito è stato il fatto che molti commenti riguardavano la tenerezza provocata da quel bimbo steso in terra.
Ed in effetti, di sicuro "tenerezza" è una parola corretta, ma non è la sola che mi suscita il vedere quel corpicino steso su panche di legno.
Era l'ultimo giorno della vacanza e stavamo visitando l'ennesimo mercato, cercando cibi particolari o specialità ancora non viste. Era un mercato all'ingrosso di frutta e verdura. All'ultimo piano c'erano anche i fiori. Io ero stanca, e forse per questo vedevo le cose in modo meno positivo del solito. Il bambino era lì, a quell'ultimo piano e il senso di desolazione che mi aveva provocato vederlo non era da me. Dietro di lui le pentole sistemate in fila, come se quella fosse una "casa" e sopra, poco più in là, una specie di impalcatura con delle imbottiture (materassi?), buttati a caso. Sullo sfondo, gli adulti urlavano per l'acquisto delle merci. Lui non sentiva nulla: lui dormiva.

04 febbraio 2008

Il Palazzo Reale di Mandalay


Birmania, Mandalay, il Palazzo Reale, agosto 2007

La mattina che arrivammo a Mandalay, il pulman era incredibilmente in orario dopo 13 ore e mezzo di viaggio. Le gambe, rattrappite dalle posizioni più strane assunte fra i sedili durante la notte per riuscire a dormire, potevano finalmente sciogliersi e camminare. Ci riconsegnarono gli zaini e poi la folla degli autisti di tuc tuc, risciò e taxi ci avvolse, come ad ogni arrivo. Dicemmo di sì a qualcuno, casualmente, trascinati più dal sorriso o dalla simpatia che da motivi economici e ci facemmo portare all'Hotel scelto sulla Lonely Planet. Il Royal City Hotel forniva stanze pulite, doccia calda e letti comodi. Era il momento di riposare un pò, finalmente.
Nel primo pomeriggio, rinfrescati e riposati, ripartimmo per le strade polverose e piene di vita. La meta più vicina era il palazzo reale, di cui avevamo già intravisto le mura arrivando all'Hotel. Due risciò ci accompagnarono.
Appena apparirono le mura bianche e le torri rosse del recinto del Palazzo, circondate dal fossato, le immagini dei racconti mi passarono tutte davanti agli occhi.
Eccola, ecco la torre da dove la regina Supayalat, la feroce regina Supayalat, aveva visto arrivare gli inglesi, udito il suono dei loro cannoni, compreso la fine del suo regno. E immagino le baracche del mercato oltre il fossato, davanti alla gigantesca porta Est, da dove re Thibaw e la regina erano usciti con tutta la corte, fiancheggiati dai soldati inglesi, per poi dirigersi verso la nave che li avrebbe portati nel loro esilio in India. Gli inglesi avevano negato al re il suo ombrello bianco, segno di regalità, che lo copriva in ogni spostamento: gli invasori avevano voluto disonorarlo davanti al suo popolo.
Ma quando entrammo le immagini svanirono. Quello che avrebbe dovuto essere un giardino, in realtà era un terreno incolto dove alberi ed erbacce si contendevano gli spazi. Le baracche dei soldati erano tirate su in quel groviglio e restavano seminascoste dal verde.
Le sale delle udienze avrebbero ben potuto ingannare i nostri occhi: alte colonne dorate si slanciavano fra i decori, il trono, il letto tempestato di specchi. Un tempo l'intera sala delle udienze era coperta da specchi francesi. Quegli specchi erano famosi in tutta la Birmania.
Ma i tetti delle sale in lamiera dipinta di rosso, svelano tutto l'inganno. E' tutto finto.
Il Palazzo reale fu distrutto durante l'ultima guerra mondiale. I Giapponesi avevano conquistato Mandalay agli Inglesi. Questi vollero riprendersi la loro colonia, ma durante l'ultima battaglia scoppiò un incendio che rase al suolo le splendide sale di tek. Non rimase nulla, tranne le fondamenta e la cinta muraria.
Il Palazzo reale che oggi si visita è stato ricostruito dalla Giunta militare, con l'uso dei prigionieri ai lavori forzati. Invece di essere il simbolo dell'epoca degli sfarzi imperiali, è solo il simbolo delle umiliazioni subite da questo popolo. Tutto in nome del turismo e dei soldi stranieri.

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